Con la Legge di Bilancio 2025 è stata introdotta una nuova misura per contrastare gli abusi nell’accesso alla Naspi.
L’obiettivo è chiaramente quello di prevenire una diffusa pratica “strategica” con la quale il lavoratore si dimette da un precedente rapporto di lavoro, instaura un nuovo “breve” rapporto di lavoro che si risolve nel giro di pochi giorni per licenziamento, richiede il sussidio beneficiando anche del più ampio periodo riferito al rapporto di lavoro cessato in precedenza per dimissioni.
La nuova misura, tuttavia, rischia di penalizzare anche lavoratori onesti che, dopo aver intrapreso una nuova esperienza lavorativa, non riescono a mantenere il posto.
Ma vediamo come funziona.
Prima dell’introduzione della nuova normativa, per ottenere la Naspi, i requisiti erano:
- Stato di disoccupazione involontaria (a seguito di licenziamento o di dimissioni per giusta causa ad esempio).
- Versamento di almeno 13 settimane di contributi negli ultimi quattro anni prima della perdita del lavoro.
Dal 1° gennaio 2025, per i lavoratori che abbiano interrotto un precedente rapporto di lavoro con dimissioni o risoluzione consensuale entro i 12 mesi precedenti la richiesta della Naspi, il calcolo dei contributi minimi di 13 settimane sarà limitato al periodo successivo alla cessazione del precedente rapporto di lavoro.
Caso pratico: un lavoratore, dopo aver lasciato un’occupazione di tre anni per dimissioni volontarie nel mese di aprile 2025, trova un nuovo impiego entro pochi giorni dalla cessazione del precedente rapporto ma viene licenziato a distanza di un mese. Non avendo maturato con il secondo rapporto di lavoro le 13 settimane di contribuzione richieste dalla manovra di Bilancio 2025, il lavoratore non potrà accedere alla Naspi. Diversamente, se fosse stato licenziato a distanza di 5 mesi, avrebbe soddisfatto il requisito contributivo presso il nuovo datore di lavoro e avrebbe ottenuto la prestazione prevista dall’ammortizzatore sociale.